I 5 fattori che bloccano il fundraising (e le possibili soluzioni)

 

Cosa sta succedendo al fundraising in Italia in questo periodo? Dopo anni di crisi economica che hanno colpito anche il mondo della raccolta fondi sembra poter cominciare un periodo di ripresa, con effetti positivi anche sulle donazioni e il terzo settore.

Sarebbe davvero importante che questa tendenza diventasse realtà, vista la costante diminuzione di risorse pubbliche e la contemporanea imprescindibile necessità di rendere sostenibile il sistema nonprofit italiano, per il bene della nostra società.

Perchè questo possa accadere è fondamentale agire su 5 fattori che in questo momento rendono spesso  fragile lo sviluppo del fundraising italiano:

  1. Debolezza interna.
    Team sottodimensionati, team troppo junior, bassa attrattività economica dei compensi, cultura interna relativa al fundraising assente o scarsa, visione del fundraising come “elemento secondario” e strumentale, accentramento delle decisioni e scarsa delega. Queste sono criticità che spesso si riscontrano all’interno di un’organizzazione nonprofit e che minano fortemente la possibilità che il fundraising abbia successo, creando un sistema endemicamente debole, rigido e poco motivante.
    Soluzioni:

    • Lavorare sulla leadership attraverso un percorso di formazione del gruppo dirigente (soprattutto i fondatori/presidenti/direttori generali). In questo modo il percorso di delega sarà efficace e i famosi “colli di bottiglia” superati agilmente. Un team sarà così motivato e connesso con la causa, in grado di raggiungere risultati straordinari.
    • Disegnare processi interni ben definiti: è l’unico modo che neutralizza le invasioni di campo, i blocchi estemporanei, la confusione su ruoli e obiettivi. Investire tempo nel pensare (e aggiornare) i processi interni di lavoro rende libere le persone di esprimere tutte le loro potenzialità. Organigramma, funzionigramma, diagrammi di flusso, job description: tutto concorre all’efficienza. E i risultati si vedono subito.
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  2. Approccio di breve termine
    Tutto e subito: la volontà dell’organizzazione di ottenere risultati nel breve periodo rende spessissimo frustrante il lavoro del fundraiser. All’urgenza spesso non corrispondono adeguati investimenti economici, e così il circolo vizioso continua ad alimentarsi, senza vie di uscita.
    Soluzioni:

    • pianificare nel medio lungo termine: la logica circolare di “budget, test, implementazione, verifica delle performance” risolve moltissimi problemi e genera soluzioni anche nel breve periodo!
      In questo post ad hoc sulla pianificazione strategica qualche idea e suggerimento utile  
    • diversificare per avere un funding mix articolato e non dipendente da una sola linea di attività (direct mail+face to face+ eventi+lasciti+top donors+grant scouting+…). Non si deve fare tutto, ma scegliere le azioni più adatte alla propria organizzazione.
    • Provare a pensare al raccolto netto prima che all’efficienza “70% (fondi destinati alle attività istituzionali) / 30% (costi di struttura e fundraising)”.
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  3. Scarsa attenzione alla relazione con i donatori
    “Meglio un nuovo donatore oggi, che un vecchio donatore domani”. Questo sembra essere un virus subdolo che attanaglia molte onp: gli sforzi di acquisizione spesso sono molto più rilevanti di quelli di gestione della relazione con il donatore. i tassi di attrition sui nuovi donatori superano così il 60% e anche i donatori regolari e i sostenitori a distanza cominciano a mostrare tassi di caduta in crescita.
    Soluzioni:

    • attivare un sistema informatizzato di gestione multicanale (dal direct mail, al telemarketing al digitale)  della relazione con il donatore. Una piattaforma digitale dove le parole chiave sono personalizzazione, coinvolgimento, costanza. Solo così si instaura una relazione emotiva con il donatore. Un ottimo esempio arriva dal profit: Booking, Amazon, Apple lavorano da anni in questa direzione e siamo di solito molto soddisfatti di pagare i loro servizi e di come veniamo trattati. Allocare un budget per lo sviluppo di un sistema informatico di questo tipo è una scelta coraggiosa di sicuro successo.
    • Segmentare i donatori, individuare i donatori più fedeli e rilevanti, definire un piano di comunicazione ad hoc.  Creare infine all’interno del team un risorsa esclusivamente dedicata al contatto diretto con i target più importanti. L’approccio paretiano del 20% dei donatori che genera l’80% dei fondi (meglio ancora: 4/64) darà enormi soddisfazioni in termini di fundraising.
    • Trasformare i donatori occasionali in donatori regolari. Vedi il punto sopra.
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  4. Bassa fiducia
    Il mercato non ha sufficiente fiducia nelle organizzazioni nonprofit, oltre la metà degli italiani non dona, l’immagine del terzo settore è spesso debole e facilmente attaccabile dai media. I donatori lamentano spesso, in tutte le ricerche di mercato, di non ricevere sufficienti informazioni sull’utilizzo dei fondi. Tutti questi elementi concorrono a diminuire la fiducia dei donatori attivi (e soprattutto potenziali) e rendono più difficile la crescita delle donazioni in Italia.
    Soluzioni:   

    • Pubblicare, divulgare, diffondere bilanci, dati, rendicontazioni, rapporti annuali. Dal sito web agli eventi ad hoc, da mailing dedicati a notiziari istituzionali. Realizzare video per rendicontare le attività.
    • Stimolare la nascita di un soggetto autonomo in grado di valutare le performance delle onp (un charity navigator italiano?).
    • Sostenere con forza le iniziative di sensibilizzazione delle associazioni di secondo livello del terzo settore.
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  5. Poca comunicazione istituzionale
    Sembra che comunicare le attività istituzionali, investire in campagne di sensibilizzazione, costruire una forte riconoscibilità di marca non sia una priorità delle associazioni. In questo modo si hanno moltissimi brand deboli (anche i più famosi), che rendono debole anche la raccolta fondi.
    Soluzioni:

    • ideare e pianificare almeno una campagna annuale di comunicazione “istituzionale”. Greenpeace è un’ottimo esempio che dimostra come le campagne di sensibilizzazione siano direttamente connesse alla capacità di raccogliere fondi.
    • investire in attività di ufficio stampa, internalizzando un addetto stampa dedicato o affidandosi a un ufficio stampa specializzato nel nonprofit.
    •  investire nella gestione quotidiana dei social network: storie, foto, notizie pubblicate ogni giorno creano nel tempo una forte relazione con i followers, trasformandoli in potenziali donatori.
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In questi anni associazioni come Save the Children, Telethon, Soleterre, Arca, Greenpeace, Comunità nuova, MSF hanno dimostrato che, adottando una parte o tutte queste soluzioni, si può far crescere o mantenere stabile la raccolta fondi anche in tempo di crisi. Ma, come sempre, bisogna crederci.

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